Un anno fa, durante una cena in uno dei lidi più incantevoli di Milazzo, ho avuto modo di poter dialogare con Gianluigi Paragone, leader di Italexit, sulla questione mediterranea. Mare non più nostrum, perché chi lo ha perso oggi tributa agli individui che gliel’hanno sottratto, l’importanza di una talassocrazia moderna risalta specialmente nell’ambito migratorio.
Mentre dialogavamo sull’importanza ormai perduta del nostro ruolo in politica estera, l’oggetto del nostro colloquiare è divenuto – sic et simpliciter – il Mediterraneo: “I primi interlocutori internazionali in Europa dovremo essere noi nel Mediterraneo. Noi soltanto, capendo il nostro valore in un’area strategica delicatissima, possiamo acquisire potere negoziale. Se non capiamo che la nostra forza negoziale la conquistiamo capendo i dossier dei mediterranei, allora non andremo molto lontani”.
Al netto dei buoni propositi e della volontà conservatrice di tornare a solcare le acque del Mare nostrum, ciò che si evince è l’inesistenza di sbocchi per il destino dell’Italia. Non la Ruhr, verso nord, ma il Mediterraneo con i suoi moltemplici vettori. Smettetela di pensare all’est oltre gli Urali. Bisognerebbe cercare di capire il motivo per cui in molti si ostinano a parteggiare per la Russia in questo baillame.
Forse possiamo arrivarci tutti insieme, cari lettori. Chi ha ormai preso la cattiva abitudine di essere suddito, economicamente e quindi socialmente, cercherà sempre un nuovo padrone nel caso in cui quello attuale dovesse cominciare ad allentare la pressione delle catene. Bisognerebbe piuttosto principiare nuovamente gli studi sul dominio romano durante le guerre puniche.
Navigare necesse est, vivere non est necesse
Plutarco, Vita di Pompeo, 50, 1